Issue 12

A. Risitano et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 12 (2010) 88-99; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.12.09 89 I NTRODUZIONE noto che la rottura per fatica avviene quando nel materiale la sollecitazione a livello locale supera certi valori per cui si generano deformazioni irreversibili. Durante questa fase come già osservato da Taylor e Quinney [1] l a quasi totalità dell’energia è convertita in calore. In ogni caso, tale quantità di calore, e di conseguenza la temperatura, risulta funzione di un coefficiente β dipendente, nel caso più generale, da diversi fattori: la deformazione plastica, l’entropia, la densità di dislocazione. Secondo Mason et Al. [2], per valori di tensione inferiori al limite di fatica (low stress region) l’energia del ciclo di isteresi è dovuta a meccanismi dissipativi “anelastici” che non procurano danni sul materiale. Per valori superiori al limite di fatica (high stress region) l’energia di isteresi è quella dovuta a deformazioni plastiche. Esiste una zona di transizione in cui l’energia del ciclo di isteresi si compone della parte anelastica e della parte plastica. Questa zona di transizione si può pensare corrispondente alla banda di dispersione relativa al limite di fatica. Constatato che per valori di tensione superiori al limite di fatica, l’energia in gioco dissipativa è quella corrispondente a deformazioni plastiche Feltner e Morrow [3] propongono un modello teorico per la valutazione del fenomeno e definiscono la legge che lega tensioni e numero di cicli. E’ stato messo in evidenza anche che la rottura di un provino avviene quando l’energia totale di deformazione plastica per unità di volume raggiunge un valore E c limite, costante caratteristico di ciascun materiale. Nel caso di metalli, per valori sufficientemente elevati di deformazione locale rispetto a quella plastica a rottura (superiore a 0,15), il valore di tale coefficiente si può ritenere costante. Ne consegue che, quando si sollecitano acciai con tensioni al di sopra del limite di fatica, la parte di calore sviluppato per ciclo, è proporzionale all’energia di deformazione plastica per ciclo E pi, di conseguenza, per provini dello stesso materiale e della stessa forma, e per valori non eccessivamente elevati di temperatura raggiunti dal provino (minore di 200°C, in modo da poter trascurare l’effetto irraggiante), anche la temperatura si può porre proporzionale al lavoro di deformazione plastica E pi (plastic work). Dal punto di vista sperimentale è possibile notare che in prove di fatica, solo quando si è al di sopra del limite di fatica (quindi, in presenza di deformazioni plastiche locali) si notano sulla superficie del provino incrementi significativi della temperatura (Dengel e Harig [4] e Kaleta et Al. [5]) . Ciò è giustificato, come già detto, dal fatto che per sollecitazioni al di sotto del limite di fatica, l’effetto dovuto allo smorzamento interno della fase elastica del materiale e a tutti i fenomeni reversibili, è praticamente trascurabile in confronto a quello che si manifesta allorquando compaiono le prime deformazioni irreversibili. Questa ultima osservazione ha permesso di sviluppare differenti metodologie per la ricerca del limite di fatica (Risitano, Luong, Curti, Blarasin, Amiri, etc.). E’ stato visto sperimentalmente e dimostrato attraverso modelli teorici che in prove di fatica su acciai con sollecitazione al di sopra del limite di fatica, la temperatura superficiale del provino dopo un prima incremento iniziale (fatica a basso numero di cicli) si mantiene pressoché costante (fatica ad alto numero di cicli) fino a pochi cicli (circa 500) prima della completa rottura (fatica ad altissimo numero di cicli) del provino (Fig. 1). Figura 1 : Incremento qualitativo della temperature in funzione del numero di cicli per una tensione sopra il limite di fatica  0 . Applicando quanto prima detto al volume elementare relativo alla zona di rottura, per cui con sistemi a largo campo è possibile prima seguire e poi analizzate l’evoluzione della temperatura, si vede che la quantità totale di calore sviluppato durante tutta la prova, a meno di una costante dipendente dal coefficiente globale di trasmissione del calore (conduzione, convenzione, irraggiamento) del materiale e della geometria del provino, risulta praticamente proporzionale all’integrale della temperatura durante tutto il tempo di prova (fino alla rottura) Φ=∫ Ni Tdn i (Fig. 2) . Dal punto di vista pratico, per la costanza della temperatura durante quasi tutta la prova (Arig, Risitano, etc.), se si opera a tensione massima costante, e parametri di prova costanti, essa si può scrivere come Φ≈N i xT facile anche da calcolare durante al fase di elaborazione È

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