Issue 11

M. Minotti et alii, Frattura ed Integrità Strutturale, 11 (2009) 36-48; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.11.04 37 la pericolosità dell’evento. Questo genere di previsioni è molto più complesso e non gode ancora di tecniche di valutazione affermate e applicabili ad una vasta tipologia di cas i [2]. La propagazione può essere controllata, estremizzando, da un regime di comportamento duttile o fragile del materiale in fratturazione; essa può estendersi anche per tratti piuttosto consistenti e quindi in condizioni di quasi stazionariet à [3]. Nel caso di acciai tenaci, se la driving force si mantiene sufficientemente elevata durante la propagazione, si assiste ad un comportamento fortemente duttile della frattura, caratterizzata da una velocità di avanzamento molto inferiore rispetto a quella di Raleigh [4]. La propagazione è associata ad un consistente fronte plastico che precede l’apice della cricca. In tali particolari condizioni i parametri di controllo usuali per lo studio della meccanica della frattura mostrano tutti i loro limiti di utilizzo. La frattura presenta fenomeni locali molto complessi ( tunneling , necking , continue modificazioni della direzione del piano di fratturazione) per cui risulta decisamente difficile pretendere una rappresentazione locale dello stato tensionale. Una metodologia di analisi alternativa, per di più estremamente vantaggiosa dal punto di vista computazionale, è resa disponibile dall’utilizzo di modelli coesivi o di progressivo rilascio dei lembi di frattur a [5]. Limitatamente alla frattura duttile, è fondamentale il modo in cui si simula la dissipazione di energia in prossimità dell’apice della cricca. Una prima possibilità consiste nell’introdurre i complessi legami costitutivi che considerano il danneggiamento progressivo del materiale [6] ; tale approccio, sebbene utile a prevedere molti aspetti della frattura duttile, non è adatto allo studio della propagazione della frattura ove si presentino deformazioni plastiche estese e di notevole entità associati ad altrettanto elevati strain-rate [7]. D’altra parte il limite imposto alla dimensione della cella elementare condiziona fortemente l’efficienza del calcolo nel caso di strutture di considerevoli dimensioni. A questi svantaggi si aggiungono le difficoltà numeriche derivanti dall’impiego di tali modelli nei codici di calcolo con risoluzione esplicita, opportunamente utilizzati per l’analisi di fenomeni in cui sono presenti elevate forze dinamiche associate a grandissimi spostamenti. Per tali motivi, i legami costitutivi che affrontano il danneggiamento localizzato sono consigliabili solo per l’analisi di strutture di dimensioni modeste e per atti di propagazione contenuti (i.e. nella fase di innesco e di formazione stabile della frattura). L’alternativa è rappresentata dall’uso di metodi locali di computazione basati sulla tecnica del rilascio controllato dei nodi; essi sono in grado di affrontare il fenomeno della propagazione delle fratture, in condizioni stabili o instabili, anche per lunghe distanze, pur richiedendo osservazioni sperimentali di fratturazione simili a quelle in studio. Questo approccio è di particolare interesse nella modellazione della frattura di strutture a guscio ove le sollecitazioni agenti sui nodi di frattura possono essere assimilate semplicemente a forze. In tal caso si utilizzano convenientemente gli elementi di tipo shell , dove l’effetto dello spessore viene portato in conto mediante alcuni accorgimenti. Il comportamento della cricca durante la propagazione può essere valutato mediante l’impiego di opportuni criteri, basati su parametri caratteristici della frattura duttile/fragile, estesi alle condizioni dinamiche. Da questo punto di vista il J integral può essere adatto allo scopo, ma presenta alcuni svantaggi dal punto di vista computazionale che ne rendono complessa l’applicazione, soprattutto nei codici di calcolo di tipo esplicito [8]. Secondo recenti studi il CTOA (Crack Tip Opening Angle) è un parametro che può descrivere correttamente le condizioni di propagazione della frattura, soprattutto in campo duttile, in quanto si mantiene costante in caso di propagazione stazionaria e non richiede l’adozione di elementi finiti particolari, o di prefissate dimensioni. L’energia specifica dissipata durante la propagazione rappresenta un altro parametro di estremo interesse nell’ambito dello studio della frattura, la cui efficacia è indipendente dalla natura duttile o fragile della propagazione. In particolare l’ Essential Work of Fracture (W f ) [9] costituisce un termine direttamente legato alla capacità del materiale di deformarsi plasticamente e fornisce l’entità dell’energia dissipata, nella regione di materiale prospiciente l’apice della cricca, nota come Fracture Process Zone (FPZ). In essa si sviluppa il cedimento del materiale con formazione di nuove superfici di frattur a [1,3,4]. È nella zona di processo che i modelli coesivi simulano il progressivo indebolimento strutturale attraverso l’applicazione, sui nodi contenuti nella FPZ, di forze di rilascio la cui entità è funzione dello stato tensionale agente e della distanza dall’apice della frattura. Nei codici di calcolo agli elementi finiti con formulazione esplicita, risulta assai difficoltoso valutare l’istantaneo campo di tensioni agenti, soprattutto a causa della dinamica di alta frequenza che caratterizza tale formulazione. È necessario quindi definire una procedura che consenta di determinare con accuratezza l’entità della tensione di apertura (MODO I) in prossimità dell’apice, al fine di tarare correttamente il modello coesivo ed ottenere una simulazione corretta del fenomeno della propagazione. S TATO TENSIONALE DEL FRONTE DI CRICCA on l’ausilio degli elementi finiti è stato condotto uno studio approfondito sul campo di tensioni in prossimità dell’apice di una cricca sollecitata prevalentemente in MODO I ed in condizioni di elasto-plasticità. In particolare si è indagata l’influenza sul valore delle tensioni ortogonali al piano di frattura, esercitata da sollecitazioni imposte parallelamente all’asse della cricca che si vanno a sovrapporre a quella autoindotta dalla geometria del pezzo ( T-stress ), C

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