Issue 1
R. L. Colombo et al., Frattura ed Integrità Strutturale, 1 (2007) 19-24 21 carico. In ogni modo, usando brillanti analogie, egli viene alla conclusione che il carico (non la tensione) di rottura è inversamente proporzionale alla lunghezza l della trave e direttamente proporzionale al cubo del raggio della sua sezione (se cilindrica, altrimenti egli sarebbe bene in gra- do di distinguere fra il ruolo dell'altezza e quello della larghezza). Ora, consideriamo un campione cilindrico di raggio R ed un prisma parallepipedo avente una sezione di altezza h e larghezza b . Sappiamo dalla teoria dell'ela- sticità che al limite elastico, σ 0 , il carico è P = ( R 3 /2 l ) σ 0 (cilindro) (1) e P = ( bh 2 /6 l ) σ 0 (prisma) (2) così che noi siamo subito colpiti dalla somiglianza di queste espressioni (che, non dimentichiamolo, sono vali- de solo in campo elastico, certamente non fino allo sner- vamento e men che meno alla rottura - torneremo su que- sti concetti in seguito) con le proporzionalità di Galileo. Ma Galileo non si preoccupava nè del carico al limite ela- stico, nè dello snervamento. Prima di tutto, egli non sa- peva nulla dell'elasticità, che è la proprietà per cui se un carico agisce su di un corpo, il corpo da parte sua agisce sul carico. In più, come abbiamo visto, non aveva alcuna chiara visione delle tensioni. Si deve ricordare, come ab- biamo detto, che ciò che lo preoccupava era il calcolo del carico di rottura ed in questo proposito egli fallì comple- tamente, seppure scusabilmente. Gordon [7] spiega che gli scienziati del passato erano confusi dall'analogia col comportamento degli animali (inclusi gli uomini). Se uno sostiene un peso di qualche sorta, generalmente non si vedono deformazioni nel suo corpo (per quanto natural- mente qualche deformazione avrà luogo nel suo schele- tro). Ma uno allora reagisce al peso mettendo i suoi mu- scoli in tensione, e questo lo stanca e produce un certo lavoro, sicchè alla fine deve smettere e deporre il peso. D'altro canto dobbiamo far credito a Galileo della prima osservazione scritta (primo giorno) del fatto che sotto tra- zione travi più grandi sostengono carichi più elevati e col primo disegno di una prova di trazione su di un corpo di grande sezione (Fig. 1). Tuttavia egli non riuscì a trasferi- re questo concetto alla flessione, perchè oltre tutto gli mancava il concetto di asse neutro. Certamente ci ha dato anche le prime immagini di quanto può essere considerata una prova di flessione su tre punti (Fig. 3). Una notazione curiosa ci viene dall’esame del volume o- riginale di Galileo. I suoi editori in Leyda, dove il suo manoscritto arrivò in maniera probabilmente avventurosa e ufficialmente a sua insaputa [4] (probabilmente solo uf- ficialmente; non possiamo essere in contrasto con quanto in maniera provocatoria illustra Brecht nella “Vita di Ga- lileo” 1 ), sono gli Elfevirii , i quali ancora oggi continuano 1 Brecht, nella scena quattordicesima, riporta il dialogo fra Galileo ed il suo di- scepolo, Andrea Sarti, figlio della serva, il quale si prepara a partire per a pubblicare di frattura sotto la traslitterazione moderna di Elsevier . Fra l’altro sono gli editori degli atti dei Con- gressi quadriennali sulla frattura. Figura 3. Modi di rottura sotto flessione (Galilei [5], p. 133). 4 HOOKE, NEWTON E YOUNG Non possiamo passare a prendere in considerazione scienziati italiani in secoli posteriori senza riferire di altri grandi scienziati che diedero inizio al lavoro che condus- se alla scoperta dell'elasticità. L'elasticità non è altro che un aspetto del principio di a- zione e reazione di Isacco Newton (1642-1727), per quanto questi apparentemente non se ne accorgesse: il ca- rico agisce su un solido deformandolo ed il solido reagi- sce opponendovisi. L'uomo che se ne accorse fu Robert Hooke (1635-1702), che per questo è considerato il padre della teoria dell'elasticità. Nel 1660, riflettendo sull'opera di un amico che era un famoso orologiaio, egli annunciò i suoi risultati nel seguente anagramma: CEIIINOSSSTTVV Fortunatamente, nel 1676 (!) in un trattato intitolato "De potentia restitutiva" egli risolse così l'anagramma: VT TENSIO SIC VIS Certamente E. Mariotte (1620-1684) disse qualcosa sul- l'elasticità lineare entro il 1676, ma non prima del 1660, inoltre non tentò di risolvere l'anagramma dello Hooke. Per questo noi consideriamo costui, e non il Mariotte, pa- dre (forse sarebbe meglio dire nonno) della teoria dell'e- lasticità. Tuttavia lo Hooke con la parola "tensio" non intese quel- lo che oggi intendiamo noi, ma piuttosto "estensione", cioè, in parole povere, "allungamento". Nei fatti, egli comprese l'elasticità, ma non quello che noi intendiamo per tensione. Questo perchè egli si disinteressò della for- ma e delle dimensioni del solido di cui andava occupan- dosi. Inoltre egli non si accorse che la sua legge era vali- da solamente nel campo che noi chiamiamo elastico. Ci ritorneremo su. l’Olanda con il manoscritto dei “Discorsi” sotto il mantello. Andrea Sarti non sembra essere una figura storica, ma introdotta perché nel populismo brechtia- no il messaggero doveva essere, appunto, “figlio della serva”.
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